Io mi sento un privilegiato, ma come è percepito davvero il lavoro dello speaker?
Ogni settimana ricevo diverse email da speaker professionisti, da persone che hanno fatto corsi ma che magari lavorano ancora poco e si chiedono come incrementare il proprio numero di clienti, da gente che vuole registrare il proprio demo e mi chiede consigli su come strutturarlo ma anche da persone a cui è stato detto “hai una bella voce, facci qualcosa!”
Una delle cose che mi piace di meno del mio lavoro è il basso tasso di risposta alle email: troppo spesso gli studi di produzione che contatti non rispondono, salvo poi farsi vivi dopo parecchio tempo perché magari qualcuno ti ha scelto.
Tutto molto bello, è solo che, personalmente spesso capita che quando si rifanno vivi io non mi ricordi neppure di avergli mandato la mail. Lo so che una delle prime regole è che su 10 offerte che fai forse te ne accettano una o 2 ma insomma, è abbastanza frustrante.
Proprio per questo motivo, dato che comunque ricevo sì email di questo tipo, ma non tantissime, mi pongo l’obiettivo di rispondere a tutti con la massima sincerità, sempre però stando attento a non urtare la suscettibilità di qualcuno.
Così email dopo email, Whatsapp dopo Whatsapp, mi sono reso conto che, in particolare gli aspiranti speaker vedono il nostro lavoro in modo veramente distorto: a volte in modo semplicistico (ma sì, alla fine devi solo parlare davanti ad un microfono), a volte come un lavoro grazie al quale si ha accesso a chissà quali contesti e / o privilegi (una mia ex mi ha decisamente idealizzato per questo), o ancora questo lavoro è percepito come un qualcosa per cui non è necessario studiare.
Ebbene, voglio soffermarmi proprio su questi ultimi 2 punti: il nostro lavoro, il lavoro dello speakeraggio non è un qualcosa che ti rende un vip. Non siamo doppiatori, non siamo conosciuti come un Roberto Pedicini o una Laura Boccanera, non è detto che si voglia esserlo.
Mi è capitato di esser stato salutato da colleghi che non avevo mai visto prima, magari a qualche festival di settore tipo il Festival del Linguaggio, i radio days ecc, ma non per questo sono conosciuto. Una stretta di mano in più fa sempre piacere, non pensiate che io sia asociale per carità, ma insomma, nessuno mi ha mai fermato per strada e vi dirò, se qualcuno lo facesse sarei discretamente imbarazzato.
Qualche privilegio c’è, è vero: riceviamo la musica nuova qualche giorno prima che la si possa ascoltare in radio, possiamo andare a Sanremo nella sala stampa Lucio Dalla (se non ci bruciamo pure questa opportunità per gli abusi commessi in passato) ma basta. I nostri più grandi privilegi, o almeno i miei sono quelli che mi permettono di potermi gestire il mio tempo, andare in ferie quando mi conviene e continuare a lavorare anche in vacanza, senza che questo mi pesi troppo (In fondo questo era ciò che volevo fare nella vita, perché dovrebbe pesarmi?) Faccio quello che mi piace, è già questo un privilegio.
Tutto questo però bisogna saperselo guadagnare e saperselo mantenere, e qui arriviamo al secondo punto: non è vero che per questo lavoro non bisogna studiare.
Si inizia nella maggior parte dei casi con un bel corso di dizione, si impara a comunicare stando nei tempi della radio e della pubblicità, e poi si studia ogni giorno facendo esercizi di articolazione ogni mattina prima di mettersi a registrare, o semplicemente registrando e facendo pratica.
Chi vi dice che basta iscriversi a un sito, magari pagare un abbonamento e iniziare a fare casting col microfono del computer sbaglia, e sbaglia di grosso. Ci vogliono strumenti adatti e ci vuole il manico, bisogna saperli usare.
Con questo articolo non voglio ovviamente scoraggiare nessuno dal provare ad iniziare, voglio solo mettere in guardia chi legge sul fatto che non è tutto cosi’ facile e scontato.
Se avete letto fino a qui, buon inizio di carriera!