Riprendo volentieri una notizia degli ultimi giorni pubblicata da ADN Kronos che riporta al centro dell’attenzione la miriade di dialetti italiani.
Sì, perchè nel nostro paese parliamo in modo diverso anche a distanza di pochi chilometri, basta spostarsi da un paesino ad un altro per scoprire nuovi modi di dire, inflessioni. Eppure purtroppo l’associazione pro loco italiane sottolinea il rischio di perdita del dialetto in almeno 2800 borghi in favore, appunto dell’italiano “autentico”. Ma siamo sicuri di voler perdere davvero una caratteristica culturale cosi’ importante?
Probabilmente qualcuno in Italia tiene al dialetto piu’ di quanto immaginiamo. Tra Genova, Roma e Napoli infatti sono tante le associazioni e i singoli individui che hanno scelto di istituire dei corsi di dialetti, anche nelle scuole.
I partecipanti sono tantissimi, basti pensare che alla prima lezione del 2016 del corso di dialetto genovese c’erano 175 persone e che una bella percentuale era composta anche da giovani.
Nella capitale il corso di dialetto culmina con la creazione di alcune poesie in romanesco, la piu’ originale riceve anche un premio. A Napoli invece, “napuletanamente” (pronunciato rigorosamente con la seconda e la terza e aperte e con la t di mente tendente alla d), il partenopeo si insegna anche ai bimbi.
Siamo piu’ conservatori di quanto immaginiamo, dunque. E ne vale la pena, soprattutto se pensiamo che quello che chiamiamo “italiano autentico” (volutamente tra virgolette) alla fine tanto autentico non è, visto che è sempre piu’ contaminato dall’inglese e dagli effetti della globalizzazione. Non trovate?